Le Comunità del Cibo sono realtà territoriali istituite per svolgere un ruolo attivo nel sistema agricolo e nell’enogastronomia locale promuovendo la salvaguardia della biodiversità autoctona e delle tradizioni agricole. Possono nascere dall’accordo tra soggetti di estrazione diversa, aziende agricole, ristoratori, agricoltori, allevatori, artigiani del cibo, gruppi di acquisto solidale, istituzioni, università, centri di ricerca, associazioni per la tutela dell’ambiente, esercizi commerciali, scuole, mense scolastiche, ospedali e cittadini custodi.

La Legge 194 del 1 dicembre 2015 definisce le caratteristiche di una “comunità” e gli obiettivi che può prefiggersi nel corso della sua attività. Tra questi figurano lo studio e la trasmissione di conoscenze sulle risorse genetiche autoctone, l’avvio di filiere corte, la diffusione di sistemi colturali a basso impatto ambientale, il recupero del sapere agricolo tradizionale anche applicato alla selezione naturale delle sementi e la realizzazione di orti didattici o urbani.

Costituire una “Comunità del Cibo significa promuovere processi di rete e di cittadinanza attiva, all’interno dei quali i sottoscrittori della Carta della Comunità si fanno promotori e portavoce dei valori del proprio territorio, della cultura, del sapere e delle tecniche agricole.
Il programma di azione è dunque il risultato di un’azione sinergica tra attività produttive, turistiche ed educative, che si impegnano attivamente nella valorizzazione e preservazione della biodiversità agroalimentare tipica del territorio e di un modello di produzione e consumo sostenibili, a vantaggio dei residenti e dei visitatori.

CHI PUÒ ATTIVARE UNA COMUNITÀ?

Come istituire una comunità del cibo e come esserne parte?

Come istituire una comunità del cibo e come esserne parte?

Numerosissime imprese agricole, con il loro lavoro quotidiano, custodiscono valori e tradizioni della agrobiodiversità locale. Assieme ad allevatori, pastori, altri produttori artigiani, possono dare vita ad una comunità. Ad esempio possono associarsi aziende che allevano maiali, aziende che producono olio extravergine, piccoli caseifici, apicultori, produttori di fagioli, coltivatori di grani e magari anche forni che li trasformano in pane e paste. E inoltre ci può essere un mondo di associazioni locali, comuni, enti di ricerca ed università che possono affiancare e supportare la nascita e lo sviluppo di una comunità del cibo. Insieme per sensibilizzare e far crescere la cultura del consumo critico, della corretta alimentazione, della responsabilità sociale e del rispetto del territorio.

Nell’ambito della piattaforma rurability, SIMTUR ha predisposto:

  1. le linee guida per la costituzione di una comunità del cibo e della biodiversità,
  2. un modello di accordo di collaborazione strategica per avviare il percorso di partecipazione e di redazione della carta della comunità,
  3. una bozza di delibera per l’eventuale adesione di Comuni e altri enti pubblici locali.

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