Ruralità

“Ruralità” è un termine semplice e lineare, ma non per questo facile. Scopriamo l’etimologia, il significato del concetto e il senso di questa parola, per condividere una nuova visione

Paesaggio rurale

Il termine ruralità è definito dall’Enciclopedia Treccani come: “La spiccata caratteristica dei paesi economicamente arretrati“, in abbinamento con “usanza” e “tradizione popolare“.

Meno severa appare la definizione di Wikipedia: “E’ un concetto nel quale sono definiti gli spazi geografici, culturali e sociali del mondo contadino, in antitesi con il concetto di urbanizzazione. I territori di pianura, collina o montagna caratterizzati da economie agricole dedite a coltivazioni, allevamento e forestazione”.
Peccato che poi concluda così: “Attualmente il termine rurale viene usato come sinonimo di agricolo, di campagna, di territorio marginale e di zona depressa“.

«Il contrario di città non è campagna; è deserto. Deserto come luogo fisico e come solitudine esistenziale»
Renzo Piano

L’etimologia vede il termine rurale provenire dal latino “rus“, campagna.
Nel tempo, la dignità di questa parola dalle antichissime origini indoeuropee – che si ipotizza riecheggino l’arvum latino, ovvero il campo lavorato con l’aratro – ha quasi del tutto smarrito l’universalità di elementi naturali e artificiali che per primi hanno legato la razza umana alla terra, dischiudendo alle società complesse la certezza della sopravvivenza e il potere della crescita illimitata.

In parte questa perdita di senso e di significato si deve al sopravvenire di terminologie tecniche, turistiche e pubblicitarie che hanno circoscritto il termine ruralità a identificare un contesto campagnolo. E in grande parte si deve alla frenesia consumeristica del Novecento, quando l’amore per l’asfalto e il cemento ha sostituito quello per la terra, in una frenesia di modernità che ha inteso cancellare secoli e millenni di buone pratiche di vita.
Basti considerare che, nel 2007, la popolazione umana urbana ha superato il numero della popolazione rurale.

Nemmeno la Commissione europea ha saputo fare meglio

Basandosi sulla definizione OCSE del 2013, che ha cercato di definire parametri istituzionali per circoscrivere le aree rurali basandosi sulla bassa densità demografica, la Commissione europea nel 2013 ha così definito: «Considerata la diversità delle zone rurali presenti nell’Unione europea, è importante che ciascuno Stato membro e regione non solo utilizzi una definizione appropriata di zona rurale, ma abbia anche l’opportunità di avvalersi di una tipologia unitaria per definire il contesto specifico. In quest’ottica si propongono tre elementi fondamentali che possono essere utilizzati per definire la tipologia delle zone rurali».

Ciascuno degli elementi può essere misurato con uno specifico insieme di indicatori, riassunti in tabella:

Elementi fondamentaliFattori
Definizione di area rurale1. Densità di popolazione
2. Zone urbane
3. Sfruttamento economico del territorio
Elemento 1 – Disagi fisici4. Disagi fisici
Elemento 2 – Sensibilità ambientale5. Sensibilità ambientale
Elemento 3 – Svantaggi socioeconomici6. Demografia
7. Problemi socioeconomici
8. Struttura economica
9. Accesso a servizi ed economie urbani
rurability | TERRA | CIBO | ETICA | CLIMA

La rielaborazione continua della dualità tra contesti urbani, periurbani, aree rurali e aree agricole la più interessante chiave esplicativa della lettura dei processi di territorializzazione, ma anche delle tendenze socioeconomiche in atto. La visione di lungo periodo promossa dall’Unione europea trova nel “nuovo patto città/campagna” promosso da rurability la sua proiezione nel futuro

Paesaggio rurale

In ogni periodo storico, la città ha instaurato delle relazioni originali e specifiche con il suo ambiente di riferimento nelle quali, pur nella loro diversificazione, il rapporto urbano-rurale trovava un punto di equilibrio in quella che Raffestin definisce la fusione delle tre grandi logiche (eco-bio-antropo): un rapporto di equilibrio che corrisponde però, dal punto di vita economico e sociale, a due universi distinti che comportano diverse condizioni di vita dell’uno e dell’altro. Città e campagna costituivano due aspetti disgiunti di uno stesso processo di civilizzazione e “compenetrandosi l’una nell’altra unificavano la loro diversità e analizzavano la loro identità”.

Nel IX e XX secolo, con l’industrializzazione, l’equilibrio tra mondo urbano e rurale si incrina. Si assiste ad un intenso processo d’inurbamento della popolazione rurale che non svuota soltanto le campagne vicine ma, attraverso l’emigrazione, attrae la popolazione di nazioni non ancora raggiunte dalle nuove strutture produttive. Le città vengono investite da un processo di trasformazione di tipo urbanistico, economico e demografico che porta alla perdita di importanza del settore agricolo all’interno dell’economia nazionale.

Il dinamismo della città viene contrapposto all’inerzia delle campagne. Rispetto al progresso e alla modernità delle aree urbane, lo spazio rurale simbolizza il passato e una visione arcaica della società dalla quale sfuggire per migliorare le proprie condizioni di vita. Si comincia a configurare una visione dove sviluppo e industrializzazione vengono considerati come sinonimi e la città acquista un rapporto di dominanza rispetto alla campagna, che si rafforza dopo la seconda guerra mondiale e prende il sopravvento negli anni del “boom” economico.

E non si è trattato di una semplice opposizione tra i due contesti, ma di una scelta di futuro e di sviluppo che influenzerà tutte le politiche di gestione del territorio: la dimensione rurale diventa un problema da gestire.

Peggio ancora: con la modernizzazione, si pensa di sanare l’arretratezza del mondo rurale attraverso l’industrializzazione del sistema produttivo dell’agricoltura. E così si assiste ad una specializzazione dello spazio rurale che viene sempre più connotato solo come spazio agricolo, perdendo così le funzioni di riproduzione ambientale, sociale e culturale. Un fenomeno definito come ‘ruralità agraria’, caratterizzato dalla netta separazione fra territori urbani e rurali nel quale la campagna è sinonimo di marginalità, povertà e svantaggio. Ed è quindi naturale affidarle un duplice ruolo passivo: quello di sostenere la crescita dei centri urbani garantendo l’approvvigionamento per una popolazione in continua crescita e quello di contribuire allo sviluppo dell’industria attraverso la messa a disposizione di forza lavoro.

Un rinascimento rurale

Nel nuovo millennio – e in particolare dopo l’esperienza della pandemia da Covid-19 – le società evolvono nella direzione di non chiedere più soltanto servizi ma di rivendicare la necessità e l’urgenza di modelli di vita ambientalmente più sani e sostenibili.

Le rivendicazioni verso un’alimentazione più sana, le campagne ecologiche di recupero dell’ambiente e delle produzioni di piccola scala, portano ad un movimento di recupero e valorizzazione della cultura e della società locale e alla riorganizzazione delle politiche di sussidio agricolo volte alla produzione di alimenti, ma anche di paesaggio. I cittadini chiedono interventi pubblici più efficaci in difesa dei beni comuni e nuovi servizi relativi all’ambiente, al paesaggio e alla qualità della vita.

La diversità, intesa in termini di biodiversità, di paesaggio e di patrimonio storico, ma anche come opposizione all’omologazione dei modi di vita e di consumo, diventa elemento fondamentale della rinascita della ruralità.

Il nuovo concetto di rurale si inserisce nel discorso più ampio dello sviluppo locale basato sulla valorizzazione delle risorse endogene e delle specificità territoriali, che punta alla conservazione della complessità ambientale, economica, sociale, e dell’equilibrio tra i luoghi. All’interno di una logica ambientale, nella quale uomo e ambiente partecipano in maniera integrata allo stesso processo evolutivo, l’opposizione tra città, campagna o aree urbane e periferiche si dissolve, i due termini si fondono e si integrano nel concetto più ampio di territorio o di bioregione, in cui ambiente naturale e costruito acquistano l’unitarietà di un sistema capace di autoregolazione, in cui lo sviluppo rurale non è possibile senza quello urbano e viceversa.

Si assiste così ad un rinascimento rurale che non scaturisce da modelli produttivisti ma piuttosto sulla costituzione di nuove forme ecosociali, verso un rurale caratterizzato dalla dimensione territoriale e non più settoriale: è un mondo rurale in cui l’agricoltore è soltanto uno degli attori, ma è il protagonista che contribuisce a dare la sua impronta al paesaggio rurale di cui tutti beneficiano, offrendo alla popolazione cittadina altri servizi come quelli del turismo, del benessere, dello svago, dell’intrattenimento, dell’artigianato, del contatto con la natura e di una sana economia delle relazioni.

La valorizzazione del rurale passa da una visione che lo identificava come spazio di produzione di beni materiali ad una che lo riconosce come fonte di beni simbolici (si potrebbe dire anche “spirituali”) in grado di alimentare e risignificare una nuova domanda economica e sociale.

La natura, da questo punto di vista, diventa la base su cui si fonda la nuova nozione di rurale che permea la visione di lungo periodo promossa dal Patto rurale europeo.

Ed è propriamente in questo contesto, di grande trasformazione degli scambi tra mondo rurale e mondo urbano – di fronte ad una crescente spinta di reinterpretare l’integrazione sociale ed economica tra le persone e tra i contesti territoriali ampi e plurali del Bel Paese – che ai avverte l’urgenza di una ridefinizione del rapporto città/campagna, che rurability interpreta e propone come nuovo patto città/campagna., fondato sul manifesto di valori BioSlow e sul manifesto del turismo rurale.

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E tu? Di che paesaggio sei?